05/04/2016

Tendenza omosessuale: “Yes, we can... change!”

Born this way“, cantava Lady Gaga, e con questo singolo la signora Angelina Germanotta è diventata un’icona del mondo omosessuale o, meglio, della lobby LGBT.

La misteriose origini della tendenza omosessuale sono sempre state un ambito di contesa che ha coinvolto scienza e attivismo politico, in un intreccio di opinioni e posizioni spesso influenzate dall’ideologia di riferimento.

Quello che la ricerca scientifica, pur con i suoi limiti epistemologici, è giunta a dirci sulla tendenza omosessuale può essere compendiato in questi termini.

Gli studi su gemelli, un modello di studio particolarmente utile, hanno fornito risultati tra loro assai differenti. Gran parte delle discordanze sono dovute alla differente metodologia adottata. Gli studi più affidabili sono quelli condotti su un campione non selezionato (cioè tratto dalla popolazione generale) di ampie dimensioni. Lo studio effettuato sulle 3.826 coppie di gemelli del registro svedese ha portato i ricercatori a concludere che la componente genetica spiegasse il 34-39% della variabilità dell’orientamento sessuale nei maschi e il 18-19% nelle femmine (Arch Sex Behav. 2010;39(1):75-80). Nel registro australiano, composto da 4.901 gemelli il tasso di concordanza nei maschi e nelle femmine omozigoti, è risultato del 20 e 24% rispettivamente (J Pers Soc Psychol. 2000;78(3):524–536). In entrambi i casi la concordanza era maggiore tra i gemelli monozigoti rispetto a quelli eterozigoti, a riprova della presenza di una componente genetica che tuttavia appare essere minoritaria nella genesi dell’orientamento sessuale.

Nella genesi dell’orientamento sessuale la componente ambientale risulta dunque maggioritaria. Per capirne però il significato si deve tenere presente che l’ambiente di un essere umano inizia non con la nascita, ma già al momento del suo concepimento. Chi conosce dei gemelli monozigoti sa che è comunque possibile rilevare piccole differenze nonostante vi sia una quasi totale uguaglianza genetica (esistono infatti piccole differenze nel DNA mitocondriale). Una parte delle differenze sono di natura epigenetica, un processo che, pur mantenendo la sequenza genetica, ne silenzia alcune parti, così che la lettura del codice genetico venga ad essere modificata. Il più importante meccanismo epigenetico si realizza mediante metilazione e demetilazione (attacco e distacco di un gruppo metilico ad una base azotata). L’ambiente, tramite i processi epigenetici, può esercitare il suo influsso sui gemelli in modo differente (si postula che possa svolgere un ruolo la posizione del feto, il flusso ematico che riceve, ma talora la metilazione presente nel DNA dei genitori si trasmette al figlio). L’ambiente può dunque indurre differenze già presenti alla nascita anche nei gemelli con lo stesso DNA.

Questo meccanismo è attualmente indagato per cercare di comprendere se esso possa svolgere un ruolo nella genesi dell’omosessualità. Dal 6 al 10 ottobre si è svolto nella città di Baltimora il congresso della società americana di genetica umana. Un gruppo di ricercatori dell’Università della California ha presentato i dati preliminari dello studio condotto su 47 coppie di gemelli monozigoti di cui solo 10 concordemente omosessuali (nelle altre 37 coppie un solo gemello era omosessuale). Attraverso un’apparecchiatura appositamente ideata, il capo della ricerca, dr. Tuck Ngun, ha dimostrato la presenza di cinque regioni nel DNA dove l’assetto di metilazione dei geni era in grado di prevedere con un’accuratezza del 70% l’orientamento sessuale dei gemelli. Uno dei geni, ha riferito, è coinvolto nella conduzione dei segnali nervosi, mentre un altro sarebbe coinvolto nella modulazione immunitaria. Secondo lo psicologo John Michael Bailey, uno dei massimi esponenti della teoria dell’omosessualità come orientamento innato, bisogna attendere che lo studio venga pubblicato a stampa per poterlo valutare a pieno e soprattutto che i dati vengano allargati mediante una casistica più vasta.

adozioni gay_omofobia_AGEDO_ Osce_vera_ omosessualismo_omosessualeQuali riflessi può avere una ricerca del genere sul dibattito socio-politico? Il Telegraph dava conto della notizia titolando “L’ultimissimo studio sul gene gay non conforta gli omofobi“. Secondo l’autore dell’articolo, Peter Tatchell, un attivista gay australiano naturalizzato britannico, “se l’attrazione sessuale è, infatti, in modo significativo fissata prima della nascita o subito dopo, da fattori biologici o ambientali, significa che i regimi anti-gay perseguitano le persone lesbiche e gay per un orientamento sessuale che molti o tutti loro non hanno scelto e non posso cambiare. Oltre ad essere immorale, significa anche che i tentativi di sopprimere l’omosessualità sono destinati a fallire, perché una percentuale della popolazione è sempre predisposta all’attrazione verso lo stesso sesso“.

Che l’attrazione omosessuale possa essere innata non è dogma di fede, ma è lasciata alle conoscenze della ricerca scientifica. In un documento della Congregazione per la Dottrina della Fede del 1 ottobre 2006 a firma del cardinale Ratzinger si fa chiara distinzione tra condizione o tendenza omosessuale (disordinata) e atti omosessuali (peccaminosi). Quello che erroneamente il pensiero politicamente corretto dà per scontato è che una determinata condizione determini necessariamente un determinato comportamento, cosa che il documento vaticano rigetta chiaramente: “anche nelle persone con tendenza omosessuale dev’essere riconosciuta quella libertà fondamentale che caratterizza la persona umana e le conferisce la sua particolare dignità”.

L’errore di Tatchell è proprio questo: trasformare la descrizione della natura innata dell’omosessualità (ancora tutta da dimostrare, sia ben inteso), in un giudizio morale di assoluzione della pratica omosessuale, presumendo che fra i due ambiti non vi sia soluzione di continuità.

Quanto ciò sia irragionevole lo si può facilmente constatare dall’approccio diametralmente opposto riservato dalla comunità medico-scientifica all’obesità. Uno studio analogo a quello condotto per l’omosessualità sui gemelli del registro nazionale svedese ha mostrato che sull’indice di massa corporea, l’indicatore di peso corporeo più utilizzato, il ruolo giocato dalla genetica è pari all’87% (Behav Genet. 2012;42(1):86-95), dunque assai superiore a quello rilevato per l’orientamento sessuale. E tuttavia, nonostante l’eccesso del rischio di morte legato all’obesità sia dieci volte inferiore rispetto a quello legato alla condizione omosessuale (JAMA. 2013;309(1):71-82);(Int J Epidemiol. 2013;42(2):559-78), nessuno si sogna di chiedere ai sanitari di non provare ad aiutare le persone obese che desiderano perdere peso, nessuno li chiama a rispondere davanti alla commissione dell’ordine, decine di trasmissioni televisive ospitano pareri contrastanti sul modo migliore per raggiungere il cambiamento di peso, né agli obesi si dice di non provare a diventare magri perché essendo la loro condizione legata alla genetica ogni tentativo è destinato al fallimento.

Gli ex obesi sono la prova che il cambiamento è possibile. Perché gli ex omosessuali dovrebbero invece vergognarsi, nascondersi e tacere?

Renzo Puccetti

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